Fuga dal Campo 14 è un libro biografico (di 290 pagine), scritto dal giornalista statunitense Blaine Harden nel 2012 e tradotto in numerose lingue. Pubblicato in Italia nel 2014, in rete si trova facilmente in vendita a un prezzo di 14 € (esiste anche la versione ebook). Vi voglio recensire il suo libro, le vicende raccontate hanno qualcosa di surreale e incredibile se si pensa che i fatti narrati accadano tuttora.
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Il protagonista del libro è Shin Dong-hyuk, l’unico prigioniero di un campo di detenzione Nord Coreano che sia mai riuscito a fuggire. Shin Dong-hyuk inoltre è anche l’unico uomo di cui abbiamo riscontro che è nato e cresciuto all’ interno dei duri campi di prigionia del regime nordcoreano. Il Campo 14, si trova nell’ovest del paese vicino al confine cinese. La cosa sconcertante che è perfettamente visibile dai satelliti di tutto il mondo, basta un computer e una connessione internet per localizzarlo e riconoscere i luoghi di detenzione narrati nel libro. Il “lager” (gechon in coreano) è riservato ai nemici politici del governo ed è considerato il più duro di tutti, con regole severissime, imparate a memoria dai detenuti, le dieci regole! Le regole vengono recitare ogni volta che è richiesto dalle spietate guardie (dette i maestri); la decima regola recita: I prigionieri che violano le regole del campo sono fucilati immediatamente! I detenuti vivono segregati all’interno del gechon e trattati come “schiavi di regime”, il cui unico scopo è di sopravvivere sino alla fine dei loro giorni ai duri lavori forzati ai quali sono sottoposti.
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Shin era nato in quell’inferno nel 1982. Il padre di Shin, Shin Gyung-Sub fu arrestato da giovane, il suo reato (la sua unica colpa!) era di avere un fratello che si era opposto al regime, fu marchiato a vita lui e tutta la sua famiglia e internato al Campo 14. Come “premio” per l’abilità nel lavoro al tornio nell’officina della prigione gli fu data in sposa Jang la sua futura madre. Jang ebbe due figli Shin e suo fratello Shin He-Geun. Il “Campo” è un mondo surreale, Shin cresce tra soprusi e torture nel terrore delle guardie, lottando ogni giorno per sopravvivere, soffrendo la fame (bisognava chiedere il permesso anche per catturare e mangiare un topo) il freddo e le malattie. Shin viveva in una piccola casa con la madre e il fratello (al padre era concesso dormire con la moglie solo poche volte l’anno) senza riscaldamento e corrente elettrica dormendo per terra, quel poco cibo che la madre riusciva a recuperare lavorando in una fattoria all’interno nel campo, non bastava per sfamare i figli.
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Il libro è un susseguirsi di atroci ricordi dei ventidue anni trascorsi nel gulag coreano. Shin ci racconta del suo primo ricordo (a quattro anni), fu un’esecuzione pubblica uno di quei “momenti educativi” per ricordare ai detenuti quello che succede se si violano le regole del campo. Ci narra dei giorni della scuola (il regime insegna ai rinchiusi solo a leggere il minimo indispensabile e a scrivere il proprio nome) dove gli insegnanti non sono meno violenti e spietati delle guardie. Un’infanzia e un’adolescenza alla continua ricerca del cibo, anche rubandolo, consapevole di violare una delle regole che recita: Chi ruba o nasconde cibo sarà ammazzato! Un mondo e una realtà senza sentimenti dove l’unica cosa che conta è sopravvivere egoisticamente, senza nessun legame affettivo, anche a costo di tradire o denunciare i propri compagni di sventura e perfino i propri famigliari per una razione di cibo in più. Tentare una fuga da quell’inferno sarebbe stato impossibile, per andare dove poi? Perché quello era l’unico posto al mondo che Shin conosceva. Una cosa Shin invece conosceva bene, la regola che recita: Ogni testimone che non denunci un tentativo di fuga sarà ucciso all’istante! Per questo motivo quando aveva quattordici anni, non esitò a denunciare la madre e il fratello quando scopri che avevano in mente un ipotetico piano d’evasione, tradire era il suo dovere e poi magari ci avrebbe guadagnato anche qualcosa.
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Le cose non andarono come lui sperava, non fu premiato, anzi fu rinchiuso e torturato per mesi insieme al padre, poiché le guardie pensarono che anche loro avessero intenzione di evadere. I segni delle violente torture rimarranno per sempre a segnare il suo corpo. Fu appeso con un gancio infilato nella pancia, calato sopra delle fiamme ardenti creandogli delle tremende ustioni. Dolori lancinanti capaci di estorcere qualsiasi confessione, ma con Shin non ci riuscirono. L’odio per sua madre era troppo forte e averlo messo al mondo in quel posto era una colpa che secondo lui non avrebbe mai potuto perdonarle, molte detenute, infatti, abortivano ma lei non lo fece. La fine degli orrendi maltrattamenti coincise con l’esecuzione pubblica della madre e del fratello, Shin fu costretto ad assistere in prima fila. L’impiccagione della madre fu una liberazione e un sollievo per lui, infondo lui odiava sua madre e non ne provava dolore.
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Nessuno gli aveva mai spiegato perché lui era un prigioniero, la verità la venne a scoprire più tardi ricordandosi degli interrogatori subiti legati al tentativo di fuga della madre e del fratello, quando vide il fascicolo della sua famiglia, dove si parlava dello zio disertore. Lui pensava semplicemente che il mondo fuori dal Campo 14 fosse uguale a quello dentro e per questo non aveva mai avuto il desiderio di fuggire. La svolta della sua triste esistenza l’ebbe quando al gechon arrivo Park Youn-Chul un nuovo prigioniero. Park era un ex funzionario, sposato con una donna di buona famiglia vicino al governo, fu accusato di crimini contro il regime. Il compito che le guardie avevano dato a Shin (che nel frattempo lavorava alla fabbrica di vestiti del campo) era di diventare confidente di Park e spingerlo a rilevare informazioni utili, convinti che nascondesse qualcosa. Park legò subito con Shin e gli raccontò del mondo fuori dal Campo, dei suoi viaggi in Unione Sovietica, della Cina, della televisione, del cibo e degli abbondanti pranzi che aveva fatto quando era un uomo libero.
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Nella mente di Shin stava prendendo forma l’idea di libertà e questa era legata al desiderio del cibo, doveva scappare. Il 2 gennaio del 2005 i due tentarono la fuga. Park mori subito nel tentativo di scavalcare la recinzione elettrificata del campo, Shin uso il suo corpo come una sorta di messa a terra e oltrepasso la recinzione e inizio la sua fuga. Cominciò a correre senza mai voltarsi e si accorse più tardi di essersi ferito alle caviglie e della gravità delle ferite. Shin quasi senza ostacoli si procurò degli abiti e delle scarpe nuove, ora non sembrava più un fuggiasco ma uno dei tanti nordcoreani malnutriti e malvestiti. Vagabondando per il paese riuscì a mimetizzarsi per diverso tempo. Dopo mesi di viaggio, corrompendo le guardie di frontiera riuscì a oltrepassare il confine con la Cina e a mettersi in contatto con il consolato della Corea del Sud e finalmente dopo alcuni anni riuscì ad arrivare a Seul da uomo libero.
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La vita di Shin raccontata da Harden ci apre gli occhi su una realtà sconosciuta ai più. La sua storia, nonostante le continue smentite da parte del regime nord coreano che nel loro paese non esiste un problema legato ai diritti umani, ha fatto il giro del mondo. Le Nazioni Unite, hanno dovuto assumersi l’impegno di indagare sui campi di prigionia nord coreani e prendere coscienza di questa catastrofe umanitaria. Shin ora vive la sua difficile esistenza post traumatica tra gli Stati uniti e la Corea del Sud, girando il mondo presentando il suo libro e rilasciando interviste che lasciano esterrefatti e increduli. Continua instancabile ogni volta a raccontare la sua tragica esperienza, lo fa per tutte quelle persone che anche adesso (tra 150 e 200 mila) sono rinchiuse nei campi di prigionia nordcoreani e continuano la loro esistenza fatta di privazioni, soprusi e atrocità.
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Alla domanda che cosa è la libertà? Lui spesso risponde che è una cosa cui non riesce ancora ad abituarsi. Ora può mangiare, dormire e muoversi come vuole senza chiedere il permesso a nessuno, ma la sua vita e per sempre segnata. Oltre che sul suo fisico i segni di questa prigionia Shin li porta anche interiormente. Costantemente divorato dai rimorsi per avere denunciato la madre e il fratello ora si pente e si ritiene il primo responsabile della loro morte, inoltre vive nel costante pensiero di non sapere che fine ha fatto il padre.
L’opera di Blaine Harden personalmente mi è piaciuta, la storia narrata come un reportage ci lascia attaccati alle pagine dal primo capitolo sino alla postfazione. Le pagine conclusive del libro sono da leggere assolutamente, perché oltre a raccontarci l’attuale vita di Shin, si fa un’esamina sulle conseguenze che ha prodotto nelle coscienze del mondo occidentale questo libro e di cosa rappresenta oggi la figura di Shin Dong-hyuk nella lotta dei diritti umani.
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Saluti Kork75